Nell’affascinante narrazione di Piana degli Albanesi c’è un particolare forse unico, non solo nella già complessa storia della Sicilia, ma addirittura dell’intera Italia. Pochi sanno che per poco meno di due mesi, per l’esattezza per cinquanta giorni, Piana degli Albanese fu una Repubblica indipendente per volere popolare. Una Repubblica quando ancora non esisteva neppure la Repubblica Italiana.
Siamo a cavallo tra il 1944 e il 1945, la Sicilia era già stata liberata, la guerra volgeva al termine e le istanze rivoluzionarie – perché tali erano considerati gli ideali repubblicani – trovavano larghe sponde anche in questo piccolo Comune siciliano, tra i pochi a rinnegare la monarchia nel referendum del 1946.
Anche sul nome non mancano tocchi di originalità. Hora e Arbereshevet è quello a cui sono più legati i custodi dell’ortodossia greco-albanese, tanto da essere presente nel cartello stradale di indicazione territoriale del Comune. Ma Piana è stata intesa anche Sheshi, Kazallot, Fusha, Planem Graecorum e Planem Albanensium (queste ultime due denominazioni secondo la Congregazione delle Chiese Orientali). Più sintetici, come spesso accade i siciliani: per loro Piana degli Albanesi è a’ Chiana.