Con larrivo in Sicilia del primo primo viceré spagnolo, Palermo diviene la capitale del governo viceregio, ed enormi somme vengono destinate al rinnovamento della città e al suo sviluppo urbanistico e monumentale. Ai primi del 600 si realizza il taglio di via Maqueda (dal nome del viceré Bernardo de Cardines, duca di Maqueda che ne tracciò il percorso) che, intersecando il Cassaro divide la città in quattro parti Mandamenti attuando a scala urbana unastrazione geometrica legata ad ideali formali di decoro e teatralità, tipicamente barocche. La Nuova Strada diviene subito la direttrice principale lungo la quale le casate nobili più in vista possono gareggiare nellostentazione del proprio fasto e magnificenza per mostrare ciascuna il proprio potere economico e politico. Nellarco di un secolo vengono erette ai suoi lati due magnifiche quinte architettoniche, formate da palazzi aristocratici e chiese di ordini religiosi.
In un periodo dove lapparire è più importante dellessere non poche famiglie estenuano il proprio patrimonio in questa corsa tanto folle quanto sfrenata che lascia, però ai posteri, un centro storico tra i più grandi e belli dItalia.
Palazzo Celestri di S. Croce e Trigona di SantElia con i suoi oltre 75 metri di prospetto e i suoli 15 balconi arricchiti da ringhiere a petto doca, non è solo uno degli edifici più grandi della città ma è il paradigma architettonico delle sue prestigiose dimore barocche.
La costruzione, su preesistenze cinque-secentesche, risale al 1756, per volere di Giovanbattista Celestri, primo marchese di Santa Croce che dette apposito incarico allarchitetto Nicolò Anito, Ingegnere Regio che iniziò con la costruzione del portale principale e della facciata su Via Maqueda prendendo il posto di alcuni corpi bassi e del giardino. Sempre lAnito disegnò la nuova distribuzione interna con linfilata delle anticamere sulla Strada Nuova fino alla sontuosa Galleria, con le retrocamere sul Piano degli Scalzi, mentre il quarto dudienza fu posto tra i cortili. I lavori furono conclusi nel 1765 dallarchitetto Giovanbattista Cascione che aveva affiancato lAnito sin dal 1757, subentrandogli nel 1760 data in cui si iniziò la realizzazione del magnifico cortile donore e le opere di abbellimento della facciata con lintroduzione di un intonaco a finto marmo negli sfondati, e di una finitura ad imitazione del mattone nelle porzioni sovrastanti i timpani e nel cornicione tra le finestre dattico..
Al contempo con la costruzione delle volte dei saloni uno stuolo di artisti più o meno noti si dedicò alla decorazione pittorica. Ottavio Violante, allievo del Serenario, fu incaricato della decorazione del medaglione centrale della Galleria raffigurante una allegorica scena mitologica. Altre parti dello stesso affresco furono decorate da Rocco Nobile mentre gli stucchi furono eseguiti da Aloisio Romano. Lo stesso Rocco Nobile si incaricò dellaffresco della prima e della terza anticamera, mentre Mariano Di Paola, Pietro Bilardi e Nicolò Noto decorarono la seconda. I due cortili, le due scale, lorganizzazione su tre livelli, la successione degli ambienti, gli affreschi dei saloni, le statue e gli stucchi danno lidea molto precisa di una società dove la realtà era un grande palcoscenico in cui ogni atto della vita quotidiana era pensato in funzione del prestigio proprio e del proprio casato. Tutto mirava ad esaltare le virtù e la potenza e la munificenza del casato, con il consueto repertorio del simbolismo iconologico classico.
Gli stessi artisti dipinsero i sopraporta, ornarono le porte realizzate da abili intagliatori con pitture, talvolta con foglie dargento meccato, nellintento di realizzare unespressione artistica ricca di armonia e di unità stilistica.
I lavori continuarono per oltre ventanni durante i quali si impose il neoclassicismo e dopo la morte di Giovambattista, Tommaso, suo fratello ed unico erede, fece dipingere le volte del quarto antico a Benedetto Codardo, pittore napoletano, ed al Manno, nel nuovo stile che si ritrova anche in altri ambienti secondari.
Le successive vicende storiche e finanziarie della famiglia influenzarono ovviamente quelle della dimora. Con il terremoto del 1823 il Palazzo Senatorio fu gravemente danneggiato e Giovambattista Celestri e Celestri, succeduto a Tommaso, affittò il quarto nobile del palazzo al Senato, mentre un altro quarto era già stato affittato al barone Ciotti. Nel 1829 il Senato lasciò definitivamente il palazzo che negli anni quaranta divenne sede del Reale istituto per lincoraggiamento dagricoltura, arti e manifatture. Giovambattista non ebbe figli maschi e la figlia Marianna morì nubile nel 1866 lasciando erede universale Romualdo Trigona principe di SantElia che vi abitò dal 1870 al 1877. Alla sua morte il patrimonio venne espropriato per i debiti contratti. Successivamente i figli riuscirono ad aggiudicarsi alcuni beni già espropriati ed il Palazzo passò al principe Domenico. Nel 1921 la figlia di questi, Laura decise con la madre di vendere la parte rappresentativa ai fratelli Lima. Prima di allora il palazzo aveva avuto altre destinazioni tra le quali anche quella di Amministrazione delle Ferrovie. Negli agli anni 50 fu anche utilizzato come sede della scuola media G. Verga, fino a cadere progressivamente nel totale abbandono, esposto al saccheggio.
Nel 1984 lAmministrazione Provinciale acquistò il palazzo dal Lima, ma si dovette attendere fino al 1996 per il progetto del primo intervento organico di restauro dei prospetti.
Il restauro delledificio ha comportato per lEnte un notevole sforzo finanziario e per lequipe di progettisti, per la complessità delle emergenze architettoniche, artistiche, tecniche e statiche ha rappresentato una vera e propria sfida.