Dal 12 novembre a Palermo la Personale di Paolo Madonia: l’attesa, l’inquietudine, il fuoco come strumento espressivo. In allestimento a Palazzo sant’Elia, nei saloni del terzo piano

Palermo, 12 novembre 2010 – Colore e fuoco, e la tela come ‘terreno’ di incontro e scontro, campo dove germoglia l’opera d’arte. Nascono cosi’ le tele di Paolo Madonia, protagonista della Personale promossa dalla Provincia regionale di Palermo e  in allestimento dal 12 novembre a Palazzo sant’Elia (via Maqueda 81, Palermo), nei saloni espositivi del sottotetto, al terzo piano. L’artista originario di San Giuseppe Jato presenta per la prima volta il collettivo della mostra ”Aspettando Caronte”, un centinaio di opere realizzate nel’ultimo anno con lo strumento espressivo che gli e’ più congeniale, ovvero la tecnica mista colore e combustione. La mostra è stata inaugurata dall’assessore ai Beni culturali Patrizio Lodato e dall’assessore alla Cultura Eusebio Dali’.
”Palazzo sant’Elia – commentano il presidente Avanti e Dalì – apre i suoi spazi ad un artista del territorio che ha ‘esportato’ le sue opere ben oltre i confini regionali e nazionali, esponendo anche a Lisbona, Barcellona, Madrid, New York. Madonia è uno dei rappresentanti più interessanti del nostro panorama artistico, che ha saputo coniugare un approccio e una sensibilità ‘mediteranei’ con uno stile e una forza espressiva internazionali”.
Il titolo della mostra allude a un senso di attesa, di sospensione, che l’artista rivela essere una componente fondamentale del suo stato d’animo attuale. Ma, malgrado il titolo richiami inequivocabilmente al tema della morte, evocato dalla figura dell’arcigno ‘traghetattore’ di anime, non c’è cupio dissolvi, non c’è alcun compiacimento, l’attesa non è sterile. E’, piuttosto, una presa di coscienza del reale attiva e produttiva, è la consapevolezza delle leggi immutabili dell’universo, che l’artista riassume nella citazione da Antoine Lavoisier “Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”.
E proprio questo richiamo ai principi della fisica e della chimica è alla base del processo creativo dell’opera di Madonia: un supporto in mediodenso – che sostituisce la classica tela – accoglie superfici impastate di colore, che l’artista spalma con le mani e la spatola. Poi sopraggiunge la fiamma che si sprigiona da un cannello a gas. Così il fuoco crea un’unione quasi alchemica con l’elemento cromatico; è un pennello o una matita che forgia, tratteggia, traccia contorni, quasi che Madonia – nella sua personale interpretazione di quello stile di Alberto Burri che lo aveva colpito all’inizio del suo percorso artistico – avesse cercato di portare all’estreme conseguenze l’uso dell’inchiostro a china, che non a caso aveva segnato i suoi esordi.
Scrive Ferlito nel testo critico in catalogo: «Non naturalistiche vedute – quelle cui perviene in tal modo Madonia –, ma compiute visioni dei soggetti inquadrati, le quali si compongono sulla dura superficie lignea attraverso un procedimento selettivo che nel fuoco ha il mezzo adeguato alla rimozione d’ogni inutile orpello visivo e descrittivo. Proprio l’esibita predilezione per il tema paesaggistico – ove abitualmente prevale il connotato sensoriale e percettivo – dà l’esatta misura della capacità del Nostro di travalicare gli steccati dell’obbligata fedeltà al vero naturale, procedendo invece nella direzione d’uno sfrondamento anti-veristico, operato – col sagace ausilio dell’alchimia pirica – in termini di raffinamento progressivo d’ogni leziosità di carattere formale, fino all’ottenimento d’un puro condensato di estrema intensità visionaria e fabulistica».
E ancora, a proposito del ‘sentimento’ del paesaggio (del suo paesaggio) in Madonia: «Matericamente cagliato sui supporti a mo’ di lavico residuo, il colore diviene vessillifero della profonda interazione dell’autore con il territorio avito (l’area dello Jato, di cui Paolo è originario), sì da restituirne non tanto il dettaglio topografico – come tipico di tanta tradizione pittorica insulare –, quanto piuttosto l’intima essenza di luogo carico di memoria e di risvolti esperienziali. L’ossessività – alla Monet – con la quale l’artista jatino si è ripetutamente soffermato su alcune immagini “topiche” – il monte Jato, le plaghe circostanti, l’andamento circadiano delle luci e delle ombre, i tipici fenomeni atmosferici – costituisce, per tanto, la riprova più evidente di quanto fin qui detto, ovvero dell’irrefrenabile “pulsione” a trasmutare la mera oggettività del “visus” nell’assoluta soggettività d’un elaborato connesso a vissuti intrapsichici».

“Aspettando Caronte” resterà in allestimento fino al 15 gennaio e potrà essere visitata gratuitamente dal martedì al sabato, dalle 9:30 alle 13 e dalle 16 alle 19:30; la domenica e i festivi (anche l’8 dicembre) solo dalle 9:30 alle 13; chiusura il lunedì. Per informazioni, 091-6628289. 

nella foto: una delle opere in mostra al terzo piano di Palazzo sant’Elia
 
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