La natura di Ettore De Conciliis a Palazzo Sant’Elia. Nuovo appuntamento con l’arte figurativa contemporanea nei saloni del piano nobile. A cura di Tahar Ben Jelloun. Ingresso gratuito, fino al 12 settembre.

Palermo, 22 giugno 2010 – Ettore De Conciliis torna a Palazzo Sant’Elia. Dopo la Collettiva del 2007, dal titolo ”Un mare d’arte”, il pittore campano, classe ’41 – tra i protagonisti della stagione piu’ prolifica della cosiddetta ‘arte pubblica’, autore nel 1980 del Murale di Portella della Ginestra, ma divenuto famoso in tutto il mondo nel ’65 per aver realizzato con Rocco Falciano il discusso ”Murale della pace”, nella chiesa San Francesco di Avellino, e aver accostato le figure di papa Giovanni XXIII e dei vescovi a quelle di Kennedy, Castro, Pasolini, Pavese, Mao Tse Tung – espone oggi un collettivo di 48 opere, tutti olii su tela e un pastello su carta, eseguite negli ultimi 28 anni.  L’esposizione, dal titolo ”Ettore De Conciliis. Opere 1982-2010”, curata dallo scrittore marocchino Tahar Ben Jelloun, organizzata da “Il Cigno G.G. edizioni d’arte” di Roma e promossa dalla Provincia Regionale di Palermo, è stata inaugurata dal presidente Giovanni Avanti e dall’artista, il 22 giugno, nei saloni del piano nobile di Palazzo Sant’Elia (via Maqueda 81, Palermo).
La mostra e’ un viaggio nel De Conciliis più lirico e intimista, che – dopo aver militato per decenni nella trincea di un’arte impegnata, di una pittura civile carica di contenuti sociali (vocazione incarnata anche dalla ricerca stilistica sui temi e i significati della Land Art) – rivolge lo sguardo alla bellezza semplice, rarefatta, quasi incantata della natura, e ne ruba colori, luci, sensazioni, senza “particolari messaggi – scrive Ben Jelloun nel testo in catalogo – se non quello della vita”.
“Ancora un appuntamento prestigioso a Palazzo Sant’Elia – sottolinea il presidente della Provincia, Giovanni Avanti – ancora una conferma del fascino e della versatilità di una sede espositiva che è diventata punto di riferimento per pubblico e addetti ai lavori. Visitando la mostra viaggiamo nel mondo vibrante e vitale dell’artista. Davanti alle sue opere comprendiamo la natura; attraverso la sua visione percepiamo l’attimo unico e sfuggente appena fissato, l’importana e la grandezza delle piccole cose e dei particolari”. 
Sfilano così nelle sale di Palazzo Sant’Elia i paesaggi palermitani e le vedute romane, i ‘notturni’ e i fiori, gli alberi e i fiumi, le nuvole, la nebbia, il cielo, sereno o livido e tempestoso, un retaggio di pioggia, le strade di campagna, gli arbusti selvatici, i covoni di fieno, gli oggetti più prosaici, uova, mais, melograno, cicoria, limoni, un coltello, una cassetta di peperoni. Le nature morte (ma ‘morte’ solo in quanto immobili) si alternano ai paesaggi, che hanno sempre un realismo preciso e rigoroso ma filtrato da un velo quasi “metafisico”, dalla coscienza di un artista che riversa nella natura, per dirla ancora con le parole del curatore, “tutti i suoi desideri, tutta la sua pazienza” e racconta storie ipotetiche, sognate, anche solo immaginate, dietro la verità – o la verosimiglianza – di un quadro.    
Impossibile non cogliere, nella poetica del paesaggio di De Conciliis, gli echi dei maestri del passato. Di volta in volta, il pittore campano è stato definito da eminenti critici un ‘panteista’, un ‘macchiaiolo del XX secolo’, un ‘neo-impressionista’. Ma tra tutti i grandi è forse il padre dell’Impressionismo, Claude Monet ad ispirarlo maggiormente: “C’è in De Conciliis – scrive Ben Jelloun – più che un’eredità, consapevole o meno, degli impressionisti, un incantestimo, una festa dell’erba, del verde, del riflesso della luna, sull’acqua dormiente, c’è il dono assoluto della rappresentazione del paesaggio […]”. A questo proposito Ben Jelloun ricorda le parole usate da Monet nel 1909 per commentare le sue “Nymphéas”: “I nervi affaticati dal lavoro – cita il curatore – si sarebbero rilassati là, secondo l’esempio distensivo di queste acque stagnanti e, a chi l’avesse abitata, questa stanza avrebbe offerto il rifugio per una dolce meditazione al centro di un acquaro fiorito”.
E ancora, dal testo in catalogo: “La particolarità di questo artista è di restare fedele al suo stile, che non tenta mai di superare né di cambiare, poiché la diversità deriva proprio dalla continuità, dall’approfondimento di questo lavoro […]”.
Come i grandi della pittura francese del XIX secolo, l’artista campano è abilissimo nell’esecuzione tecnica; le sue pennellate creano tonalità e sfumature trasparenti, il suo sguardo si impadronisce di dettagli invisibili agli occhi del profano ma la sua sensibilità media il realismo più spinto con la ricerca costante di un’ideale di tranquillità, di grazia, di mistero, per certi versi anche di serena solitudine.
Ancora il curatore: “Dopo Vincent Van Gogh non guardiamo più un campo di grano con gli stessi occhi. La forza, la potenza di certe opere d’arte sta nel fatto che tracciano solchi nella nostra percezione del mondo. La forza dei grandi artisti è di non interrompere il cammino, al contrario lo allargano, l’ingrandiscono, lo prolungano all’infinito. 
La mostra di Palazzo Sant’Elia – che si aggiunge alle recenti ‘tappe’ al museo Hermitage di San Pietroburgo, a Castel Sant’Angelo, a Roma, e alla Reggia di Caserta – potrà essere visitata gratuitamente fino al 12 settembre.
 
Orari di apertura al pubblico: dal lunedì al venerdì, dalle 10.30 alle 13 e dalle 16.30 alle 20. Chiusura il sabato e la domenica.

Per informazioni, www.provincia.palermo.it; www.ilcigno.org. Ufficio relazioni con il pubblico: 091-6628923/8450/8290/8920.

vai alla fotogallery

nella foto: ”Holyhocks along a path”, olio su tela del ’91