Una prova ulteriore – qualora ve ne fosse bisogno – della straordinaria ricchezza culturale della Sicilia la si può riscontrare dall’analisi dell’origine dei nomi di molti dei Comuni dell’Isola. Richiami linguistici che sottolineano l’alternarsi delle dominazioni, tracce di leggende popolari che spesso affondano le loro radici nei riti contadini. Ecco spiegato come, talvolta, risalire all’origine dei nomi dei Comuni diventa un viaggio nella storia.
Prendiamo il caso di Caccamo. Sono varie le ipotesi che si fanno sulla matrice linguistica che ci ha condotto all’odierna denominazione. C’è la versione punico – cartaginese Caccabe (testa di cavallo) e quella greca Kakkabe (pernice) assai simile alla precedente; poi troviamo la latina Cacabus (pentolone) e l’araba Kakum (vaso). Possiamo notare come le prime due peschino nel mondo animale, secondo una tendenza tipica della cultura di riferimento, mentre arabi e latini puntino sulle usanze quotidiane con la sottolineatura a utensili domestici. Il siciliano, invece, privilegia il mondo della natura: con Caccamu si identifica il bagolaro, un albero di alto fusto il cui legno una volta veniva utilizzato per arnesi usati in agricoltura e oggi anche per strumenti musicali.
Per la cronaca: lo stemma civico un indizio lo fornisce ospitando una testa di cavallo.